Robert McElroy, vescovo cattolico, e l’aborto

I toni della campagna elettorale statunitense in corso, che vede contrapposti il Presidente uscente Donald Trump e lo sfidante democratico Joe Biden, sono incandescenti anche per le diverse posizioni in campo etico. Il primo è decisamente pro-life, come usa dire oggigiorno, ed ha utilizzato nel corso del suo mandato tutti gli spazi consentiti dalla legge anche per difendere la libertà religiosa[1]; il secondo, dichiaratamente cattolico, è stato invece addirittura in qualche caso escluso dall’Eucaristia per le attuali posizioni pro-choice, cioè a favore della libera scelta da parte della madre. Non solo, pare che Biden non abbia mai espresso la propria contrarietà agli ultimi orientamenti prevalenti fra i democratici, secondo cui il diritto all’aborto deve valere di fatto per l’intera durata della gravidanza[2].

A questo punto il problema per un cattolico statunitense è: “Chi votare?”

Robert McElroy, noto studioso di etica e pastorale nonché vescovo di Santa Romana Chiesa, è intervenuto in proposito con un documento del 13 ottobre 2020 indirizzato alle Comunità del Saint Mary’s College e della University of Notre Dame[3].  Argomentazioni come le sue sono sempre più diffuse negli ambienti cattolici, per cui ritengo doveroso, al di là della contingenza politica statunitense, un loro esame critico, possibile anche perché non credo che sussistano le condizioni per parlare di atto magisteriale di qualsivoglia livello.

McElroy conclude con apprezzabile equilibrio, ritenendo moralmente lecito per un cattolico votare sia Trump che Biden, ma è il procedimento argomentativo che mi vede guardingo. Da tutto ciò (motivi di analisi prescelti o ancora accentuazioni e sfumature semantiche di termini e costrutti e così via) che parla (neanche troppo) implicitamente, si potrebbe con facilità desumere la posizione personale di McElroy, ma mi atterrò a quanto da lui stesso esplicitamente affermato, condividendo che, se il voto è sacro (sacred) (almeno in senso ampio) per l’impatto che può avere in ogni campo dell’umana esistenza, allora bisogna averne piena consapevolezza anche in termini di motivazioni e presupposti giustificativi.

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Entriamo in medias res. La problematica dell’aborto è senz’altro importante per un cattolico, ma non è per McElroy l’unica. Fra le altre, evidentemente tante, viene citata quella del cambiamento climatico e in genere ambientale. Gli Stati Uniti, un tempo Paese-guida nella ricerca di soluzioni in questo settore di intervento, resistono ora alle sollecitazioni che provengono da tante parti consapevoli della gravità del momento. Un’altra grande fonte di preoccupazione è vista nella cultura dell’esclusione che, nelle parole di McElroy, è “cresciuta drammaticamente nella nostra [i.e., USA] nazione durante gli ultimi tre anni”[4]. Bisogna capire come le tre grandi problematiche individuate debbano a suo giudizio entrare nelle valutazioni in vista delle presidenziali.

Come dovrebbe un elettore cattolico valutare le richieste portate avanti da molti leader cattolici che l’insegnamento della Chiesa richiede che l’aborto o il cambiamento climatico o il rifiuto del razzismo sia singolarmente determinante per il fedele che si reca al voto nella consultazione del 2020?[5].

Un cattolico dovrebbe tener presenti, secondo il condivisibile giudizio di McElroy, tutti questi motivi di riflessione. Dovrebbe inoltre considerare altro: tanto per dire, la particolare abilità di un candidato di far avanzare per davvero (actually) il bene comune. Dovrebbe quindi valutarne la capacità di guida, la competenza, insomma tutte le qualità personali. È importante ancora che consideri di quale specie di leadership il Paese abbia bisogno in questo particolare, difficile momento. Infine, il modo di relazionarsi di un candidato: un elemento importante soprattutto nell’attuale fase storica, in cui i leader “adottano tattiche e linguaggio corrosivi, alimentando la divisione piuttosto che l’unità. La nozione di verità ha perso la sua posizione nel nostro dibattito pubblico. La collegialità è stata messa da parte. I principi stessi diventano nulla più che giustificazioni di azioni di parte, da abbandonare quando quei principi non favoriscono un vantaggio personale […] Per tutte queste ragioni le qualità personali dei candidati che eleggiamo costituiscono un elemento di particolare centralità nell’elettore ispirato in concreto dalla fede nel momento presente, ed un motivo in più per il credente per non ridurre il voto a una serie di insegnamenti di giustizia sociale in competizione”[6].

È il complesso che bisogna guardare, non il singolo punto. McElroy scrive, con evidente riferimento a Biden, accusato dagli avversari di incoerenza con la dichiarata fede cattolica:

Quando si parla delle qualità personali dei candidati che sono centrali nel processo decisionale per gli elettori di fede, mi sento in dovere di affrontare una dimensione molto triste del ciclo elettorale a cui stiamo assistendo: la negazione pubblica dell’identità dei candidati come cattolici a causa di una posizione politica specifica che hanno adottato. Tali discrediti sono offensivi perché riducono l’insegnamento sociale cattolico a un’unica questione. Ma sono offensivi perché costituiscono un assalto a ciò che significa essere cattolici. Essere cattolici significa avere una relazione piena di grazia con Dio. Essere cattolici significa amare la Chiesa. Essere cattolici significa partecipare alla vita sacramentale della Chiesa. Essere cattolico significa cercare di trasformare il mondo alla luce del Vangelo. Ridurre quel magnifico e multidimensionale dono dell’amore di Dio a una singola questione di ordine pubblico è ripugnante e non dovrebbe avere posto nel discorso pubblico[7].

I cattolici, dice in sostanza McElroy, non devono cadere nell’errore di adottare l’argomento del “male intrinseco”. Vero che l’aborto è (dev’essere) senz’altro ritenuto un atto intrinsecamente cattivo (intrinsece malum), che tocca la vita ovvero il fondamento stesso di ogni confronto[8], ma non ci si può basare su questo per negare il voto a un politico. Si tratta di un’errata valutazione dell’intrinsece malum. A scopo esplicativo, direi che per McElroy l’argomento si articolerebbe più o meno così: 1) la dottrina cattolica riconosce talune pratiche come intrinsecamente cattive; 2) i difensori di queste pratiche non sono coerenti con l’insegnamento della Chiesa; dunque 3) non devono essere seguiti. Ovviamente, non devono essere seguiti nei rispettivi campi di azione. Nel caso di un politico, evidentemente non dev’essere sostenuto nelle sue ambizioni.

Bene, McElroy sostiene che un tale argomento non è una “misura della gravità relativa del male nelle particolari azioni umane o politiche. Dire una bugia è intrinsecamente cattivo, mentre accelerare la corsa alle armi nucleari non lo è, ma è assurdo affermare che dire una bugia agli elettori debba contare più, nel calcolo dell’elettore di fede, dei programmi di un candidato di iniziare a destabilizzare un programma di armamento nucleare”[9].

McElroy si adopera invece per tentare di spostare la valutazione della normativa sull’aborto (esclusivamente) nell’ambito prudenziale, dove non sempre (anzi, quasi mai) si parla il linguaggio del “sì sì, no no”:

Mentre uno specifico atto di aborto è intrinsecamente cattivo, la formulazione di leggi particolari riguardanti l’aborto non lo è. È certo un imperativo di coscienza per i discepoli cattolici cercare protezione legale per il non nato. Ma che queste protezioni assumano la forma della sanzione per il medico o la madre incinta, che queste sanzioni debbano essere sanzioni civili o penali, e le variabili questioni a proposito del divieto di aborti a seguito di stupro, incesto o da un pericolo per la madre, sono tutte ragioni di profondo disaccordo fra gli incondizionati difensori della protezione dei bambini non nati. Come nelle questioni relative alla lotta alla povertà e al cambiamento climatico, la questione dell’aborto nel diritto e nelle politiche pubbliche è un ambito in cui il giudizio prudenziale è essenziale e determinante[10].

McElroy quindi non rileva differenze tra la valutazione delle politiche relative alla povertà, al cambiamento climatico e all’aborto, rientrando tutte in quello che si diceva l’ambito prudenziale, mentre sarebbe falso dire che lo sarebbero solo le prime due. A questo punto acquisisce ruolo dominante la virtù della prudenza, quella necessaria per scegliere il candidato che “integra” (integrates) quanto detto finora, vale a dire le posizioni relativamente ai diversi principi, la competenza, il carattere etc. Cita a tal proposito il Catechismo della Chiesa Cattolica, che così si esprime: «La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo […]. È detta “auriga virtutum -cocchiere delle virtù”: essa dirige le altre virtù indicando regola e misura»[11].

Sulla base di quanto finora esposto, McElroy sostiene, come già anticipato, la legittimità morale del voto cattolico per Trump allo stesso modo della legittimità del voto cattolico per Biden. Nessuno di loro soddisfa interamente le tre aspettative del cattolico. Dunque, atteso che bisogna pronunciarsi con il voto, sia l’una che l’altra posizione sono esprimibili.

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McElroy, come dicevo in apertura, è un pastore della Chiesa ben noto per la sua competenza in campo pastorale e morale. Tuttavia, non posso esimermi dal rilevare ciò che non mi risulta convincente. Non citerò passi evangelici, non avendo peraltro alcuna autorità né competenza culturale (filologica, linguistica, etc.) che mi aiutino nella loro lettura. Cercherò solo di sviluppare un’argomentazione molto semplice, servendomi unicamente della mia misera ragione e degli insegnamenti della Chiesa. 

Per cominciare, mi sembrano estremamente appropriati, né potrei dire altrimenti, tutti i riferimenti di McElroy all’etica cattolica, innanzitutto quello della ricerca della prudenza. Io stesso cercherò di sviluppare un discorso prudente, pur se breve, il cui esito sarà non già di scegliere l’uno dei due contendenti per questo o quel motivo (secondo l’argomentare di McElroy, il che mi farebbe restare entro i confini da lui stabiliti), bensì di mostrare come la stessa costruzione di McElroy sia di dubbia condivisibilità.

Come sensazione generale v’è quella che McElroy, allo scopo di estendere oltre misura la sua volontà di legittimazione, adotti una pratica argomentativa che si potrebbe dire della “piena corrispondenza impossibile” (alle posizioni dell’elettore):   bisogna votare un candidato che al tempo stesso salvaguardi gli interessi americani senza danneggiare il mondo, sia aperto a tutti i migranti e promuova lo sviluppo economico e in genere il bene comune, sia sensibile al cambiamento climatico, tuteli la vita umana dal concepimento e così via. Il guaio è che nessun candidato, nei programmi o nel pensiero, corrisponde per intero alle aspettative di ogni suo elettore. Eppure bisogna scegliere. Come? Sulla base di criteri di conformità all’insegnamento della Chiesa. Però, per McElroy giacché nessuno dei due candidati risponde positivamente a tutti i criteri, allora vanno bene entrambi. Visto cioè che bisogna scegliere, e scegliere tenendo presenti dei criteri, alla fine si è moralmente giustificati sia nell’uno che nell’altro caso (per dirla grossolanamente, mi sembra che tutta l’argomentazione sia costruita per garantire una legittimità morale a Biden, abortista, che ne ha tanto bisogno allo sguardo cattolico). Ma, io credo, le cose non stanno esattamente così, perché c’è sempre una gerarchia delle cose, che spinge a contemplare la corrispondenza con un candidato prima nelle cose più fondamentali (l’essere e la vita precedono su tutto) e poi su ciò che è successivo.

Insomma, non bisogna mai dimenticare quello che, prendendo a prestito dal linguaggio della cultura statistica, sarebbe il diverso “peso” delle cose. In termini filosoficamente più ortodossi, non bisogna perdere di vista la maggiore o minore dignità, quindi il livello ontologico da riconoscere ad un certo essere. E poi far sì che le posizioni di principio si traducano in azioni concrete, entro i limiti che la saggezza suggerisce. È un punto estremamente importante. Nel caso specifico McElroy, da pastore della Chiesa qual è, parla correttamente di “bambini non nati”, come abbiamo visto. Ma se è così (quindi evito in questa sede di esaminare criticamente argomenti intesi a negare la natura umana e personale dei piccoli), allora essi come persone vanno pienamente trattati, anche nella valutazione prudenziale alla quale giustamente il vescovo fa appello. 

La distanza, un vero e proprio salto, nel pensiero di McElroy tra giudizio prudenziale e ontologia mi stupisce profondamente. Giacché il giudizio può muoversi tenendo conto di ciò che è stato in precedenza determinato nel suo statuto ontologico, vera stella polare del comportamento prudenziale. Insomma, tanto per fare un esempio, se la dottrina ci dice che senz’altro la Roe v. Wade è da abrogare o contestare in toto, la ragione prudenziale ci suggerisce che al momento nel contesto statunitense non esistono le condizioni per un’azione di successo. La stessa ragione, d’altra parte, ci dice che possono essere mossi passi in quella direzione, cioè se non si può al momento pensare seriamente di rivedere quella decisione della Corte Suprema, non è detto che non si possa limitarne gli effetti o le parziali applicazioni. Il fine deve però rimanere ben chiaro: la difesa della vita innocente.

Ovviamente, come regolarmente accade quando c’è un’argomentazione di questo genere, l’esito diventa quello di legittimare nel tempo le posizioni più varie (intendo riferirmi al movimento storico, che può trovare o meno un’analogia nelle posizioni e nelle tesi delle singole storie personali). Il rischio è proprio quello che corre McElroy, diminuendo il carico etico di posizioni come quella di Biden. Non si può prendere da altri campi di valutazione (etica dell’ambiente ad esempio), per far passare, e così ritenere politicamente accettabile, la posizione sull’aborto. Alla fine ci sarà sempre chi riterrà egualmente legittime le posizioni generali anche sul piano teoretico.

Non è il caso in questa sede di complicare il discorso, già troppo lungo, con considerazioni teoriche sulla diversità tra azione diretta e conseguenze dirette o indirette che siano; tra ciò che è immediato e ciò che è disteso nel tempo o, proprio per questo, suscettibile di interventi correttivi successivi; tra l’intenzione e l’oggetto o il fine. Faccio solo un semplicissimo esempio. Non conosco le statistiche relative all’aborto negli Stati Uniti. Sicuramente però ci troviamo dinanzi a moltissime decine di migliaia l’anno. Se consideriamo ognuno di questi bambini abortiti come persona, dobbiamo rilevare che annualmente muoiono con tutti i crismi di legge moltissime decine di migliaia di persone (né questo significa criminalizzare alcuno, medici o pazienti che siano, dovendo in sede pratica valutare le ragioni specifiche in campo).

Supponiamo che venga approvata una legge che consenta l’uccisione di un pari numero di persone già autonome e che al tempo stesso proprio quelli che l’hanno approvata dichiarino la volontà concreta e credibile di rispettare l’ambiente. L’ecatombe (attuale) di persone potrà essere messa sullo stesso piano dell’ambiente (senza nulla togliere alla gravità di questa problematica)? Ovviamente no. E questo varrebbe per tutti. Perché questo non deve valere per delle persone che riconosciamo come tali a pieno titolo e che anzi meriterebbero ulteriori tutele, attesa la loro debolezza, la loro fragilità? Eppure, McElroy tratta l’ambiente e la persona non nata come se fossero allo stesso livello di importanza pubblica. Un’operazione resa possibile da un’ingiustificata prevalenza del giudizio prudenziale. Ma questo, ripeto, non può mai prescindere dall’ontologia (pensiamo soltanto, giusto per fare un esempio, se i codici equivocassero, a seguito della soppressione della differenza ontologica, tra danno patrimoniale e omicidio premeditato!) È questo trascurare la gerarchia dell’essere nell’ambito della valutazione elettorale, e più in generale pubblica, che crea difficoltà e che sempre più ne creerà, in base a quello che è stato sempre temuto: l’effetto deriva ovvero, per dirla con gli inglesi, la slippery slope. Occorre riconoscere che il dominio pratico è sì autonomo, ma non anarchico: dimenticare questa elementare verità comporta conseguenze inimmaginabili.

In ambito sociale, ecco un altro punto sensibile, non basta essere qualcosa (nel caso del concepito: una persona). Bisogna anche essere riconosciuti per tali. E proprio il tema del riconoscimento nel nostro mondo è fondamentale, come dimostra peraltro l’attenzione che ad esso è dedicata da studiosi contemporanei, sensibili alle dinamiche sociali. Mi riferisco in particolare ad Axel Honneth, direttore dell’Istituto di Ricerche Sociali di Francoforte, le cui riflessioni sono per alcuni tratti estremamente utili per quanto sto sostenendo[12]. E ancora, dopo il riconoscimento dev’essere manifesta la volontà di “rispettare” (altro tema forte di Honneth) una certa realtà secondo il suo livello. Quando tutto ciò non viene adottato da un’intera società nella mentalità dominante e nel sistema giuridico, è evidente che si creano le premesse di un grave disordine. Esattamente quello degli Stati attuali nella loro maggioranza.

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McElroy riduce a tre le grandi problematiche, ma in realtà ce ne sono altre di evidente gravità. Ad esempio, la pace nel mondo, la difesa dell’identità (da intendersi nell’accezione più ampia) oppure la libertà religiosa o la necessità di impedire che la finanza travalichi dai propri limiti per determinare il destino dei popoli. A proposito dell’identità religiosa McElroy è giustamente preoccupato di denunciare i rischi di quella che ormai chiamiamo tutti “islamofobia”, ma sembra molto meno preoccupato di denunciare i rischi della “cristianofobia”, ad oggi molto più grave in termini statistici anche nei Paesi di tradizione cristiana (in certe altre tradizioni siamo al punto che non è azzardato parlare di “martirio diffuso”). Eppure vive nella più grande democrazia del mondo, in cui però l’opposizione ad esempio attacca duramente la nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema, non sulla competenza (indiscussa e indiscutibile per unanime consenso) o della dignità personale o pubblica (mai macchiata non dico d’un reato, ma neanche d’un pettegolezzo), bensì soltanto sulla base delle sue posizioni etiche e religiose, arrivando in qualche caso addirittura, in aperta violazione di ogni rudimentale lettura della Costituzione, a proporre per l’avvenire un esame delle posizioni religiose a chiunque sia indicato a quella posizione.

Tutto ciò fa risaltare un ulteriore problema, connesso tuttavia ai precedenti, e che riguarda la posizione dei cattolici in quanto cattolici nelle società democratiche. McElroy su questo non si pronuncia, ma il problema persiste. Non è recentissimo: tutti ricordiamo lo splendido dibattito di alcuni lustri or sono fra l’allora cardinale Ratzinger e Habermas. È in gioco il ruolo dell’uomo di fede in una società laica. La post-secolarizzazione secondo Habermas prevede che nello spazio pubblico il cattolico in quanto tale abbia diritto di cittadinanza[13]. Altri, tuttavia, non sono d’accordo e vogliono escludere il cattolico in quanto cattolico dall’agorà: la posizione generale dei Democratici americani è, pur con le dovute eccezioni (si pensi, ad esempio, alla corrente dei Democrats for Life, piuttosto forte in Louisiana), di questo tipo[14].Quindi, bisogna vedere come vivere e consentire di vivere le posizioni di fede all’interno di una società laica[15].

In fondo, di questo si tratta nel giudizio da esprimere sui due candidati alla presidenza statunitense. Biden, cattolico, era su posizioni antiabortiste, ma è passato -e non è azzardato pensare che la sua fortuna politica sia dovuta anche a questo- su posizioni di libera scelta. Quindi, il Partito Democratico può sicuramente accettare uomini di fede religiosa, ma a patto di confinare quella stessa fede in un ambito privato e comunque neutralizzato per poter seguire altre pulsioni o interessi che il mainstream di volta in volta sottolinea. Questo è un problema. Ci sembra di poco conto?

Fernando di Mieri


[1] Emblematica è la vicenda delle Little Sisters of the Poor, una congregazione cattolica che ha combattuto e vinto una dura battaglia giuridica per non essere obbligata a pagare ai propri dipendenti, secondo quanto previsto dalle disposizioni approvate al tempo di Obama, una copertura assicurativa che preveda la contraccezione.

[2] Il Reproductive Health Care Act rende legale l’aborto fino a 24 settimane. In seguito, può essere praticato per vari motivi. Fra questi la salute (health) della donna. L’assenza di una precisa definizione del termine rende di fatto la pratica abortiva lecita fino alla fine della gravidanza. La legge, approvata nello Stato di New York, è stata ripresa in forme sostanzialmente simili da un certo numero di Stati della Federazione a maggioranza democratica. Quando è stata presentata al mondo da Andrew Cuomo il 22 gennaio 2019, ricorrenza della sentenza Roe v. Wade (1973), il One World Trade Center è stato illuminato di rosa per significare il gigantesco passo in avanti (si fa per dire) compiuto dalle donne! La volontà di ridurre (fino alla banalizzazione) l’impatto psicologico della pratica abortiva è ricavabile anche dal fatto che lo Stato di New York ha esteso a certo personale paramedico la possibilità di operare.

[3] “Voting in Faith, Rebuilding in Hope. An Address to the Communities of Saint Mary’s College and the University of Notre Dame, October 13, 2020”, scaricabile da https://www.sdcatholic.org/bishop/voting-in-faith-rebuilding-in-hope/

[4] «A third central issue of Catholic social teaching in the current political moment lies in the culture of exclusion that has grown so dramatically in our nation during the last three years (my italics)» (Voting in Faith…).

[5] «How should a Catholic voter evaluate the claims put forth by many Catholic leaders that Church teaching demands that abortion, or climate change or rejecting racism is singularly determinative for faithful voting in the election of 2020?» (Voting in Faith…).

[6] «Finally, because our nation is in a moment of political division and degradation in its public life, character represents a particularly compelling criterion for faithful voting in 2020.   Today, leaders in government embrace corrosive tactics and language, fostering division rather than unity.   The notion of truth itself has lost its footing in our public debate.  Collegiality has been discarded.  Principles are merely justifications for partisan actions, to be abandoned when those principles no longer favor a partisan advantage.  There is a fundamental lack of political courage in the land. For all these reasons, the personal qualities of the candidates we elect constitute   a particularly central element in effective faith-filled voting at the present moment, and another reason why faith-filled voting cannot be simply reduced to a series of competing social justice teachings» (Voting in Faith…).

[7] «In speaking about the personal qualities of candidates that are central to decisionmaking for faithful voters, I feel compelled to address one very sad dimension of the election cycle we are witnessing – the public denial of candidates’ identity as Catholics because of a specific policy position they have taken.  Such denials are injurious because they reduce Catholic social teaching to a single issue.  But they are offensive because they constitute an assault on the meaning of what it is to be Catholic.  Being Catholic means having a grace-filled relationship with God.  Being Catholic means loving the Church.  Being Catholic means participating in the sacramental life of the Church.  Being a Catholic means trying to transform the world by the light of the Gospel.  To reduce that magnificent, multi-dimensional gift of God’s love to a single question of public policy is repugnant and should have no place in public discourse» (Voting in Faith…).

[8] Con l’espressione Intrinsece malum si intende l’azione cattiva in sé, per il suo oggetto, la quale non potrà mai diventare buona. Né vale sostenere che è resa buona o neutra dalle circostanze, giacché queste, “in sé stesse, non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta un’azione intrinsecamente cattiva” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1754).

[9] «One problem with this approach is that while the criterion of intrinsic evil identifies specific human acts that can never be justified, this criterion is not a measure of the relative gravity of the evil in particular human or political actions.  Telling a lie is intrinsically evil, while escalating a nuclear arms race is not.  But it is absurd to propose that telling a lie to constituents should count more in the calculus of faithful voting than a candidate’s plans to initiate a destabilizing nuclear weapons program» (Voting in Faith…).

[10] «While a specific act of abortion is intrinsically evil, the formulation of individual laws regarding abortion is not,” he said. “It is an imperative of conscience for Catholic disciples to seek legal protections for the unborn. But whether these protections take the form of sanctioning the doctor or the pregnant mother, whether those sanctions should be civil or criminal penalties, and the volatile issues pertaining to outlawing abortions arising from rape, incest and danger to the mother are all questions of deep disagreement among advocates wholeheartedly devoted to the protection of unborn children. Like the issues of fighting poverty and addressing climate change, the issue of abortion in law and public policy is a realm where prudential judgment is essential and determinative» (Voting in Faith…)

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[11] Catechismo della Chiesa Cattolica, III, 1, art. 7, 1806.

[12] Cfr., ad esempio, A. Honneth, Riconoscimento. Storia di un’idea europea, trad. F. Cuniberto, Feltrinelli, Mlano 2019; Idem, Reificazione. Sulla teoria del riconoscimento, trad. C. Sandrelli, Meltemi, Milano 2019.

[13] «I cittadini laicizzati, nella misura in cui si presentano come cittadini dello Stato, non hanno la facoltà di negare in linea di principio un potenziale di verità alle immagini religiose del mondo, né di contestare ai cittadini credenti il diritto di contribuire a pubbliche discussioni in linguaggio religioso. Una cultura politica liberale può addirittura aspettarsi dai cittadini laicizzati che partecipino a iniziative volte a tradurre comportamenti rilevanti dal linguaggio religioso in una lingua pubblicamente accessibile» (J. Habermas, Tra scienza e fede, trad. M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 18).

[14] In Italia si è particolarmente distinto in tale direzione (bisogna riconoscergli grande onestà di pensiero) Paolo Flore d’Arcais. Se, come egli ha scritto, “il credente in quanto credente non sa dialogare razionalmente”, non ci vuol molto per concludere che il cattolico come tale debba essere escluso dalla sfera pubblica, con tanti saluti alle libertà costituzionali! (Cfr., ad esempio, P. Flores d’Arcais, Le tentazioni della fede (undici tesi contro Habermas), in “MicroMega”, 3/13, pp. 6ss.).

[15] È superfluo aggiungere che in questo momento mi sto occupando soltanto del rapporto dei cattolici con le società democratiche, ma questo non significa che un laicista debba essere necessariamente pro-choice etc. Queste posizioni possono, e direi dovrebbero essere assunte anche sulla base di semplici argomentazioni razionali. In Italia, tanto per dire, il maestro del laicismo del tempo, Norberto Bobbio, si schierò decisamente a favore dell’abrogazione in occasione del referendum celebrato nel 1981.